Morir de Amor, la vita di Federico García Lorca

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Un viaggio sentimentale nei luoghi di Federico García Lorca

Un vento di libertà soffia sulla Spagna negli anni venti. I costumi si modernizzano, e anche le istituzioni e la politica si rinnovano. La società sta cambiando e alcuni giovani entusiasti e sensibili si preparano a raccogliere questi fermenti e trasformarli in potente fatto artistico: Pablo Picasso da Malaga, Salvador Dalí da Figueres, Luis Buñuel da Aragona, Rafael Alberti da Cadiz, Joan Miró da Barcellona e tanti altri.

Si incontrano, discutono, si stringono amicizie e amori, collaborano a progetti che cambieranno per sempre la storia dell’ arte: basta ricordare la celebre opera surrealista di Dalí e Buñuel, “Un perro andaluz”, ovvero il film ispirato dalla figura di un’altro giovane, amico d’entrambi, Federico García Lorca.

Federico era nato a Fuentevaquero, un piccolo centro agricolo del sud a solo qualche chilometro da Granada, la città che era stata l’ultimo caposaldo della dominazione araba in Europa occidentale.

La sua casa natale che è oggi un museo viene visitata da decine di migliaia di persone ogni anno che rendono cosí omaggio a quello che è considerato il più grande poeta spagnolo contemporaneo.

L’infanzia di Federico è già segnata dalla rivelazione di un talento precoce e poliedrico. Disegna, suona il piano, canta e organizza spettacoli di burattini per i familiari.

Nel frattempo, la famiglia si è trasferita a Valderrubio, un paese vicino. È li che si trovano le radici di quella che sarà poi la sua poetica: nel chiacchericcio dell’aia, al lavatoio, o nascosto nell’ombra dietro alle persiane, Federico scopre un’altro talento, sa ascoltare… e capire.

Ascolta il dolore delle donne, che tradurrà in prosa scrivendo alcuni testi che sono capisaldi per il teatro europeo come “La casa de Bernarda Alba”, storia di una famiglia di Valderrubio, vicini di casa, che viene assunta a simbolo di una tragedia umana universale, quella della condizione femminile.

Ascolta anche la fatica degli uomini che lavorano duramente la terra in un epoca legata ancora all’economia latifondista.

Ascolta i “gitanos” –gli zingari–, emarginati che cantano la musica della sua terra, e gli studi che Federico dedicherà al flamenco sono fondamentali per la storia del canto andaluso così come a questo popolo sono dedicate le opere poetiche del periodo giovanile: “Poema del cante jondo” e “Romancero Gitano”.

Federico scopre la musica e le feste popolari e le rinnova nel suo teatro, che da adulto vorrà portare in tutte le piazze con “La Barraca”, una compagnia teatrale itinerante che dirigerà, in cui reciterà e canterà per la sua gente, la gente che ama e a cui sa di dovere molto.

Ma prima, per completare la sua formazione artistica si era trasferito a Madrid dove verrà a contatto con il “nuovo”, la cosiddetta Generazione del ‘27, una corrente letteraria che ha il merito di rinnovare completamente la poesia spagnola. È a Madrid che Federico García Lorca conoscerà Salvador Dalí, con cui stringe un complicato e mai risolto rapporto sentimentale.

È anche per sfuggire a questo infelice legame che Lorca salpa per l’America, dove scriverà la sua grande opera surrealista: “Poeta a New York”.

Per la Spagna, nel frattempo, il vento ha invertito di rotta e le forze reazionarie si sono ricompattate, pronte a riconquistare il potere ad ogni costo. Lo scoppio della guerra civile nel 1936 sorprende Federico a Madrid, ma egli vuole comunque tornare a Granada per festeggiare il suo onomastico e quello del padre, insieme alla famiglia. Nonostante venga avvertito del pericolo, fanno fede i suoi versi: “Como no me he preocupado de nacer, no me preocupo de morir”.

E così, ritornando a Granada, Federico firma la sua condanna a morte, perché è proprio in seno alla famiglia e a quell’ambiente meridionale arcaico e arretrato che gli storici spiegano in parte il motivo della sua tragica fine.

García Lorca infatti non svolgeva attività strettamente politica ne era iscritto ad alcun partito, fatto che avrebbe potuto almeno spiegare se non comprendere la crudeltà della condanna.

Ma per i suoi avversari, Federico oltre ad essere “rojo”, un comunista, è anche omosessuale. Un peccato ancora più grave per quell’ambiente bigotto e fondamentalista, accecato dalla rabbia e da una ideologia intollerante. Federico era però amatissimo nella sua terra, era giovane, famoso e ricco, e questo contribuiva ancora di più a suscitare l’invidia e la gelosia di una parte dei suoi conterranei.

Il padre di Federico è un possidente terriero e nel profondo sud andaluso, di generazione in generazione, covavano sotto la cenere vecchi rancori per torti subiti a causa di confini non rispettati. In quel periodo di scelte fraticide, alcuni familiari si sono già apertamente schierati dalla parte del nuovo regime. Ironia della sorte, proprio a questi Federico chiede protezione e si rifugia nella loro casa.

In questa casa dove si credeva al sicuro, viene invece arrestato. Chi lo ha denunciato e chi ha ordinato la sua morte, non è stato chiarito.

Da questo punto in avanti non si è più certi di niente. Forse il 19 di agosto alle prime luci dell’alba, insieme ad un maestro di scuola e due altri giovani, viene fatto appoggiare ad un olivo e fucilato, probabilmente per mano del marito di una cugina. Aveva solo trentotto anni.

Non si sa nemmeno esattamente dove riposino i suoi resti, se nel parco che gli è stato dedicato a Alfazar, nei pressi dal luogo della fucilazione, oppure a un paio di chilometri da li, nel “pozo” di Viznar, il luogo che i franchisti avevano individuato per eseguire le condanne sommarie e per seppellire le vittime in fosse comuni.

Per tanti anni, chi custodiva questi segreti non ha voluto parlare, era troppa la paura e troppo l’orrore che ancora gela il sangue solo camminando su questo sentiero tra i pini. In questa angusta gola, quotidianamente, tra i sassi che formano una croce, dove tanti lasciano fiori, preghiere e poesie dedicate a Federico. E una lapide ricorda che “Lorca eran Todos”, che Lorca erano tutti. Sono quasi tremila a Viznar nell’attesa di essere riconosciuti e degnamente sepolti.

Ma Federico García Lorca è un artista universale e furono la sua vita, fuori dagli schemi, e la sua opera, che lo condannarono a morte. Il suo teatro che scende nelle piazze e tra la gente, che prende posizione contro l’ingiustizia sociale, dalla parte dei deboli e gli emarginati, contro il “machismo” –maschilismo– dominante che annichilisce le donne. In tutto questo, la sua opera è testimonianza di impegno politico e di curiosità ed amore per la vita umana, ed è proprio l’amore che non gli fu perdonato.

Come canta García Lorca: “El más terrible de todos los sentimientos es el sentimiento de tener la esperanza muerta”. Cosí ha pagato, per essere testimone di quella speranza.

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